Non si arresta il “fermento” sul territorio regionale che registra un aumento degli addetti ai lavori (+90%), di birrifici agricoli del (+333%) e della richiesta di materie prime locali. I dati sono dell’Osservatorio Birre Artigianali che li presenta in un incontro promosso in collaborazione con Vetrina Toscana e alcune imprese del settore.
La birra artigianale si sta facendo strada nel territorio toscano. Lo dicono i dati di ObiArt, l’Osservatorio delle Birre Artigianali con sede presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze che oggi, insieme a Vetrina Toscana, presso l’Aula Magna, ha riunito imprese, istituzioni e accademici per fare il punto sullo sviluppo di una filiera e di un turismo brassicolo regionale.
La Toscana emerge come un caso emblematico dello scenario nazionale, mostra la forza di una piccola imprenditorialità fortemente orientata al fare artigianale, in costante crescita e più che mai decisa a mettere a sistema il proprio innato senso di accoglienza. Significativo in tal senso l’incremento del numero degli addetti del settore sul territorio, che dai 124 del 2015 (7.893 in Italia) diventano 236 nel 2022 (9.612 in Italia, +21%), un’evoluzione del 90% che fotografa la necessità degli opifici birrari, soprattutto dei più piccoli – sono l’88% con massimo 5 dipendenti – di strutturarsi e aumentare il fatturato per essere più competitivi sul mercato. Cresce, gradualmente, anche il numero delle imprese, che nello stesso arco di tempo si portano da 60 a 95 unità produttive.
La ricerca svolta da ObiArt, sottolinea il responsabile dell’Osservatorio e docente del DAGRI, Silvio Menghini, mette in evidenza anche un altro fattore importante: se in Italia aumenta sensibilmente il numero dei birrifici agricoli (+233% dal 2015), a livello regionale l’evoluzione tocca addirittura quota +333%, passando dagli 86 opifici del 2015 ai 286 del 2022. La crescita è imponente, dunque, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi, legandosi sempre di più al territorio sia per dimensione artigianale degli opifici che per la produzione locale delle materie prime impiegate.
Da una indagine attualmente in corso, svolta in collaborazione con Unionbirrai, risulta che il 46% dei birrifici artigianali italiani utilizza, infatti, materie prime – orzo e luppolo – di provenienza locale: in questa percentuale rientrano per legge (DM 212/2010) tutti i birrifici agricoli e, per il 30%, anche i birrifici artigianali che, pur potendo approvvigionarsi altrove, si rivolgono ad agricoltori del luogo. Una filiera corta, sostenibile, di cui le imprese agricole sono veri acceleratori e che fa sperare nel recupero di un’eccellenza agroalimentare del territorio, giacché il nettare di Cerere è sempre stato presente in Toscana, anche se come fenomeno di nicchia.
Il percorso, tuttavia, non è senza qualche criticità, spiegano Simone Orlandini, direttore del DAGRI, e Marco Mancini, entrambi esperti di sistemi cerealicoli: l’orzo destinato alla produzione di malto per birra deve avere particolari caratteristiche qualitative, come alto peso specifico, basso contenuto proteico, uniformità nel calibro dei chicchi. La coltivazione richiede tecniche agronomiche particolari, in parte ancora da affinare, in quanto non è tipica delle nostre aree. Ciò nonostante, la domanda di birra artigianale è in forte espansione e apre alla possibilità di diversificare ulteriormente il paniere di eccellenze agroalimentari del territorio. E’ scritto in quell’84% di opifici che ormai da tempo si è organizzato per l’accoglienza dei turisti appassionati della bevanda o anche solo desiderosi di uscire dalle solite rotte. Il 73% delle imprese offre visite gli impianti e al luppoleto, circa la metà può ospitarlo nella tap room per una degustazione, e oltre il 32% invita a tavola con prodotti tipici in abbinamento alle proprie birre. Chi gestisce un brew pub, circa il 25%, può spillare nel bicchiere “bionde, rosse e brune” e un’esperienza da ricordare.
Si delinea, quindi, una precisa fisionomia dell’attività turistica che muove in direzione dello sviluppo di una filiera brassicola tutta nostrana. Un obiettivo sostenuto, rincara Gennaro Giliberti, dirigente agricoltura della Regione, attraverso i finanziamenti del Programma di Sviluppo Rurale, nonché tramite progetti come Hops Tuscany, per una coltivazione del luppolo di alta qualità, e Quali Birre, il cui scopo è il miglioramento della qualità delle birre agricole toscane e l’elevazione delle competenze tecniche ed economiche dei titolari degli agribirrifici.
Produttori e consumatori, la cultura brassicola è valorizzata su entrambi I fronti e con varie iniziative anche da Toscana Promozione Turistica, attraverso Vetrina Toscana, il progetto di Regione e Unioncamere Toscana che promuove il turismo enogastronomico e alla cui rete ha aderito già un terzo dei birrifici artigianali. Sono tante le iniziative messe in campo dal 2021 per sensibilizzare ed educare rispetto all’oro giallo, espressione del territorio e delle sue peculiarità, oltre che di una filiera corta che si va sempre più consolidando. L’incontro chiude proprio su questa consapevolezza e altri valori condivisi all’unanimità da decisori politici, accademici e imprenditori, ossia che un turismo della birra è un’opportunità per promuovere destinazioni, storia, natura ed eccellenze locali, che i birrifici sono espressione di un’imprenditoria giovane e dinamica, particolarmente attenta al basso impatto ambientale e a pratiche sostenibili, e che può solo crescere. Dulcis in fundo, ai presenti è stata offerta una degustazione di birre artigianali e prodotti del territorio a cura dell’Associazione QUORE – QUalità e Origine REte Toscana DOP e IGP – costituita nel 2022, che raccoglie e propone 9 produzioni DOP e IGP: Castagna del Monte Amiata IGP – Fagiolo di Sorana IGP – Farro della Garfagnana IGP – Marrone del Mugello IGP Mortadella di Prato IGP – Olio Seggiano DOP – Olio Terre di Siena DOP – Pane Toscano DOP – Pecorino delle Balze Volterrane DOP.
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