Sono decisamente poche le cose che, ai tempi dell’antica Roma, accomunavano i ricchi ai poveri, i patrizi ai plebei. A detta degli storici e dei cronisti dell’epoca, una di queste era senza dubbio la passione per il gioco. E, più nello specifico, per il gioco d’azzardo.
«…[populus] duas tantum res anxius optat, panem et circenses». Questo scriveva nelle sue Satire (X, 81) il poeta latino Decimo Giunio Giovenale. In italiano, la citazione suona esattamente così: «[il popolo] due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi circensi».
Potente e diretta, la locuzione mal celava l’indignazione del poeta satirico nei confronti della plebe romana, pronta a vendersi a una classa politica corrotta che se ne assicurava il consenso tramite periodiche distribuzioni di grano (panem) e per mezzo dell’organizzazione di giochi pubblici (circenses) come i tornei di gladiatori, le lotte tra animali o le corse con i carri. Tuttavia, e per la verità, non era il solo popolo romano a subire il fascino dei giochi.
Gli imperatori e il gioco d’azzardo
È infatti risaputo che perfino gli imperatori, gli esponenti più d’élite dell’antica società romana, avessero il vizio del gioco d’azzardo. Sono tante le testimonianze giunte fino ai giorni nostri in merito a questo argomento. Si narra che l’imperatore Claudio avesse trasformato il suo carro personale in una sala da gioco e che, per evitare di far cadere i dadi una volta in movimento, lo avesse addirittura dotato di uno speciale meccanismo atto a ridurre gli scossoni e le vibrazioni.
Il biografo latino Svetonio racconta che Augusto, una delle personalità più importanti della storia di Roma antica, fosse arrivato a perdere 20mila sesterzi in occasione delle Quinquatrie (festività dedicate alla dea Minerva), come lo stesse scrisse in una lettera indirizzata al figlio e futuro imperatore Tiberio.
Sempre Svetonio rivela che Nerone quando giocava ai dadi puntava ingenti somme di denaro, arrivando a scommettere fino a 400mila sesterzi per ogni lancio. Una cifra lontana anni di luce da quanto si potevano permettere i cittadini romani comuni. Le scarse disponibilità economiche, comunque, non li trattenevano dal tentare la fortuna al gioco e dalla speranza di portarsi a casa facili guadagni.
L’amore di Cesare per il gioco d’azzardo, così come quello del suo fidato pupillo Marco Antonio, è stato infine tramandato dallo scrittore e filosofo greco Plutarco. E non è un caso che prestigiose sale da gioco americane, si pensi al Caesar Palace di Las Vegas, portino il nome del grande imperatore romano.
I giochi degli antichi romani
I giochi da tavolo erano una grandissima fonte di intrattenimento per i cittadini dell’antica Roma di ogni estrazione sociale. Di seguito si elencano alcune tra le forme di passatempo più diffuse e popolari.
- Dadi: quello delle tesserae era forse il gioco più amato dagli antichi romani. Le tesserae, dadi a sei facce molto simili ai nostri, venivano lanciati sul tavolo utilizzando un apposito recipiente. Per vincere bisognava sperare di ottenere la migliore combinazione di numeri sommando i punteggi sulle facce scoperte (in genere si lanciavano due o tre dadi). Il lancio migliore era il colpo di Venere (il duplice o triplice sei), mentre quello più sfortunato era il colpo del cane (il duplice o triplice uno)..
- Astragali: gli astragali erano piccoli ossi di ovini, in genere capre o pecore, di forma cuboide. Le facce utili al gioco erano quattro, ognuna con un diverso punteggio. Lanciati sul tavolo come i dadi, gli astragali davano un risultato diverso a seconda di come avrebbero finito di disporsi: se l’ossicino cadeva pronum si ottenevano 4 punti, se cadeva supinum si ottenevano 3 punti, mentre se cadeva planum il punto era soltanto 1. Il punteggio migliore era quello tortosum, che valeva ben 6 punti.
- Ludus latrunculorum: per il gioco dei Latrunculi, simile alla nostra dama, si richiedeva semplicemente l’utilizzo di una scacchiera e di alcune pedine. L’obiettivo era quello di muovere queste ultime per circondare quelle degli avversari ed eliminarle.
- Gioco delle dodici linee: il ludus duodecim scriptorum non si discostava molto dall’attuale backgammon. Nell’antica Roma, 15 pedine venivano disposte su speciali tavolette decorate, chiamate tabulae lusoriae. I giocatori le muovevano in base al punteggio ottenuto tramite il lancio dei dadi, cercando di fare in modo che non rimanessero intrappolate costringendoli a saltare un turno.
- Testa o croce: si lanciava una moneta e si scommetteva su quale lato sarebbe caduta. questo celebre gioco un tempo si chiamava navia aut capita, perché la moneta recava una nave (navia) da un lato e la testa (capita) di Giano bifronte dall’altra.
L’evoluzione del gioco d’azzardo
A circa 20 secoli di distanza, il gioco d’azzardo continua a fare parte della quotidianità e continua a essere una delle attività di svago preferite in tutto il mondo. Rispetto all’età classica, oggi le tipologie di giochi si sono moltiplicate, con numerose opportunità fruibili online e offline.
Il poker è diventato uno dei giochi da tavolo più famosi e praticati, grazie anche all’ampia scelta di varianti offerte. Tra queste, come non citare il Poker Blast, un torneo superveloce di Texas Hold’em con jackpot a sorpresa che si disputa nella modalità Sit & Go. I migliori casinò online danno la possibilità di vincere fino a 10.000 volte il buy-in, garantendo un game-play decisamente intuitivo e al tempo stesso molto divertente.
Conclusioni
È curioso osservare come i giochi da tavolo dall’antica Roma siano arrivati fino ai giorni nostri, attraversando addirittura due millenni. Certo, sarebbe davvero interessante sapere se tra qualche secolo i nostri discendenti guarderanno al poker come al precursore di un nuovo ed entusiasmante passatempo in chiave ipermoderna e ultrainterattiva.
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