Nel sabato che precede il Carnevale, in una giornata uggiosa, piovosa a tratti, scopriamo e visitiamo una zona del vibonese che a volte, viene da dire, una zona forse trascurata, nonostante abbia enormi potenzialità turistiche, tipicità regionali e peculiarità artistiche e identitarie di pregio.
Dove il tempo si è fermato, ma dove le tradizioni identitarie si conservano, rimanendo rafforzate dalle bellezze paesaggistiche di uliveti secolari, dai resti dell’antico borgo, con la chiesetta bizantina di S. Pantaleone Martire, da due pregevoli calvari e dalla coltivazione del pregiato aglio rosa di Papaglionti, profumato, dal gusto leggermente piccante, contiene solfuro d’allile, ricco di proprietà organolettiche e antiossidanti di buon livello.
In questo quadretto non manca la storia archeologica della grotta ipogea di Trisulina che arricchisce di mistero questo luogo dell’anima frazione di Zungri, città della pietra e ricca località contadina che resiste con dignità e lucentezza visto che sempre più e ‘ricercata dai vari visitatori, turisti, oltre che studiosi.
Già Papaglionti vecchio, un borgo abbandonato, un piccolo paese fantasma, che dopo il violento terremoto del 1908 e il fortissimo alluvione del 1952, si spopolò e l’intera comunità si spostò nella parte superiore della collina, edificando e creando un conglomerato di abitazioni che ancora oggi viene abitato da circa 120 anime.
Un dipinto unico il paesaggio circostante , arricchito di prati verdi e incredibili uliveti secolari, ci attrae la segnaletica di una grotta ipogea , denominata Trisulina che si trova sulla collina soprastante un bellissimo uliveto, sulla parte piana della stessa, troviamo il suo ingresso, una ripidissima scala stretta, “compressa” tra due pareti rocciose ci fanno scendere nel cuore della grotta che sorprende per la sua condizione dignitosa, ma che andrebbe migliorata nella didattica di cartellonistica storica e speleologica e andrebbe migliorata con qualche sistema di illuminazione al solo fine di poterne apprezzare a pieno il suo sorprendente fascino.
Dopo aver visitato la grotta, ci dirigiamo verso il borgo, percorriamo una discesa pendente dove ci accompagnano increduli quattro cagnolini di piccola taglia, compagni fedelissimi di una signora anziana agricoltrice che ci spiega che un tempo questo paese era un gioiellino e che oggi duole il cuore a vederlo abbandonato e abbracciato dall’abbandono e da violenti rovi di spine che ormai dominano le abitazioni del borgo di Papaglionti.
Una chiesa di chiara impronta bizantina ci accoglie, quella di S. Pantaleone Martire, ormai con tetto demolito, prima di arrivare al borgo abbiamo apprezzato dei calvari settecenteschi ancora recuperabili, in discrete condizioni che andrebbero anche essi restaurati di “devozione” e dignità artistica.
Ci colpiscono diverse abitazioni che ancora potrebbero essere recuperate e magari inserite in qualche progetto di riqualificazione, di rivalutazione e perché no, di accoglienza turistica di nicchia in questo territorio incredibilmente affascinante. Dopo le visite in questo pomeriggio invernale solo da calendario, ci immergiamo nel conglomerato abitato, in una sorta di caccia al tesoro, nella ricerca del prezioso aglio rosa di Papaglionti e siamo consci che non essendo un periodo di raccolta, di certo non sarà facile trovarlo e chi lo possiede in questo periodo lo dosa gelosamente fino all’estate quando verrà raccolto ed essiccato.
Dopo diverse ricerche, dal putiharu che resiste nella sua bottega, vendendo prodotti casarecci di qualità prodotti in zona che ci dice di averlo finito, al fruttivendolo che ci risponde di averne avuto quantità apprezzabili in dicembre, ma tanti emigranti ritornati per le festività ne fecero “razzia” acquistandolo velocemente. Quello che i sorprende di questa zona e terra, è la gente, le persone comuni che arricchiscono il viaggio, un tale Franco sentendo che cerchiamo il delizioso aglio rosa di Papaglionti, ci prega di andare a trovare nella gucceria (macelleria) a Giuseppe, di sicuro riuscirà a essere utile alla ricerca della caccia al tesoro.
Così fu, non solo ci donò tre belle teste d’aglio rosa, ma ci ha privilegiato in una sorta di full immersion in prodotti derivati dal maiale, prodotti da lui da diversi anni ormai, sulla quale spiccava Sua Maestà la Nduja della vicinissima Spilinga che ha chiaramente “influenzato” di piccantezza e bontà tutta la zona circostante e non solo.
Un ‘altra perla della ricca collana di Calabria che di sicuro meriterebbe maggiore rivalutazione turistica, considerando il suo forte legame alla terra e alle tradizioni collegate, calcolando sempre quel valore aggiunto a una terra bellissima, donato dalle peculiarità eno gastronomiche che donano quel valore aggiunto alla Calabria, assieme all’aglio rosa di Papaglionti che di suo aggiunge salubrità all’organismo,” decorandola” di aroma e gusto piccantino , meravigliosamente identitario.
Testo di Gianpiero Taverniti
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