La Giostra Cavalleresca di Sulmona, affonda le sue origini al tempo degli Svevi, quando uomini forti dalla tempra guerriera si cimentavano in cruenti duelli.
La prima notizia certa, però, risale solo al 1484, quando la regina Giovanna d’Aragona con un suo diploma invitava i responsabili del governo cittadino al evitare sperpero di denaro pubblico “in cose vane, come sono correre de palii, pifari, trombette, et altri suoni”.
La folla in Piazza Maggiore acclama le galoppate travolgenti dei cavalieri che si cimentano nell’infilare gli anelli di diverse dimensioni sorretti dalle sagome dei tre mantenitori dislocate lungo il percorso.
Della giostra cavalleresca sulmonese, che si teneva due volte l’anno e in coincidenza di eventi particolari nel “Campo” di Piazza Maggiore, si hanno notizie solo a partire dal 1484, epoca in cui la regina Giovanna d’Aragona invitata i Sulmonesi a non sperperare denari “in correre de palii” ; ma tal genere di cimenti sicuramente vantava una lunga tradizione e forse non è azzardato farne risalire le origini al tempo degli Svevi, quando posizione strategica e favorevole congiuntura economica avevano fatto della città ovidiana una delle maggiori del Regno e la capitale d’Abruzzo.
In origine, con la partecipazione di cavalieri cittadini e forestieri, il torneo si celebrava a spese di due dei maggiori istituti laico-religiosi della città : la Casa Santa della SS. Annunziata finanziava quello del 25 Marzo che coincideva con la festività dell’Annunciazione, differito all’ottava di Pasqua quando la ricorrenza cadeva in tempo di Quaresima, mentre la Chiesa di Santa Maria Della Tomba gestiva il palio dell’Assunta a mezzo Agosto. In epoca post tridentina, invece, l’organizzazione venne curata dall’Università che se ne accollò totalmente la spesa per complessivi 40 ducati : 22 per il palio di primavera e 18 per quello d’estate.
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Le norme raccolte dalla viva voce dei protagonisti e date alle stampe da Cornelio Sardi nel 1583, si componevano di 44 articoli che regolavano la manifestazione ed il comportamento dei cavalieri partecipanti alla tenzone. Lo svolgimento della competizione, diretta dal mastro giurato della città, si riassumeva in uno scontro alla lancia tra cavaliere in lizza e “mantenitore”, personaggio questo di gran coraggio, in quanto, armato e protetto dalla corazza, attendeva l’assalto del concorrente rimanendo immobile sul suo destriero all’altro capo dello steccato eretto lungo il percorso con teli colorati a dividere in due il campo di gara. I giostranti, muniti di lunga lancia dalla punta opportunamente trattata con vernice così da lasciare traccia visibile nel punto colpito, uscendo dal varco dei “tre archi”, che all’epoca si apriva tra le costruzioni addossate all’acquedotto medievale, galoppavano lungo lo steccato alla volta del “mantenitore”, cercando di assestare quella che in gergo si chiamava la “botta”. In base al bersaglio raggiunto, con verdetto insindacabile dei due giudici – anche questi di nobili ascendenze e, almeno uno, scelto tra le caste Sulmonesi – si assegnava il punteggio : tre “botte” per il colpo alla testa o alla mano, una “botta” se veniva raggiunto lo spallaccio o il petto, e così via. I punti raddoppiavano se nella veemenza dell’assalto la lancia si spezzava nell’impattare il bersaglio in quanto il fatto denotava una “botta” di grande possanza, oppure procurava ferita sanguinante al “mantenitore” : a parità di condizione prevaleva chi provocava “più copioso sanguinamento”.
Colpo prestigioso, la cosiddetta “punteria”, ossia quello portato contro la visiera che proteggeva il volto del “mantenitore” – in pratica al centro della fronte – giudicato vincente perché di grandissima importanza. La vittoria, e quindi il premio, consistente in un drappo di raso prezioso, andava al cavaliere che, corse le tre lance previste, totalizzava il maggior numero di punti. Quella giostra che nel Seicento – a detta del Pacichelli – fu dismessa “per disapplicazione e mancanza de’ guerrieri” torna oggi a nuova vita sia pure inevitabilmente adattata ai tempi. Cambia il percorso e la funzione del mantenitore, niente assalti alla lancia né sanguinamenti, ma semplici anelli di diverse dimensioni da infilzare da parte del cavaliere che corre anche contro il cronometro, per cui vince chi consegue il risultato migliore nel minor tempo. Scomparsi anche i cavalieri solitari ed i nobili rampolli di antiche casate, oggi i fantini gareggiano in rappresentanza di Borghi e Sestieri …
Resta immutato invece il “campo” di gara di Piazza Maggiore, che oggi si intitola all’eroe dei due mondi anche se privo dei “tre archi” da dove prendeva le mosse la galoppata del cavaliere, ma non per questo difetta di suggestioni e di incomparabile bellezza : uno scenario sicuramente degno di ospitare la grande rievocazione storica che Sulmona si accinge a rivivere nella calura di un pomeriggio d’estate.
FONTE : La Giostra Cavalleresca
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